Da Striscia a Radio 1: perché vado in giro a dire che il giornalismo online sia sfruttamento del lavoro e come mai non posso farmi i cazzi miei
Dietro a ogni articolo che trovate online non ci sono 'i poteri forti', ma persone. Persone troppo spesso sfruttate, mal pagate e così assuefatte al 'sistema' da pensare che sia 'giusto così'.
È da un po’ che non mi faccio sentire, anzi leggere, da queste parti. Poco tempo, molte cose da fare, cazzi miei. Però ci siamo ‘visti’ e ‘sentiti’ lo stesso. Un paio di settimane fa a ‘Striscia la Notizia’, in un servizio realizzato dal buon Francesco Mazza. Negli ultimi giorni, invece, su Radio 1, a ‘Giù la Maschera’, programma condotto da Peter Gomez e Marcello Foa. In entrambi i casi, sono intervenuta per parlare di un tema molto preciso: il giornalismo online (e non solo) è troppo spesso un sistema di sfruttamento nascosto in piena vista. Per chi ci campa, è come scoprire l’acqua bagnata quindi no, non mi sto sentendo Cristoforo Colombo. Ciò di cui sono abbastanza certa, però, è che all’esterno non ci sia una reale percezione di come stiano esattamente le cose in questo mirabolante settore. Dunque, credo necessario fornire una panoramica della situazione. Situazione che per molti non è nemmeno un problema perché ‘ è sempre stato così’. Vero. Infatti, è sempre stato tutto sbagliato.
L’occasione discutere della questione è arrivata grazie a una brutta notizia: i redattori del sito TvBlog, per cui ho collaborato diversi anni in passato, dal primo aprile non scrivono più lì. Sostituiti, con un preavviso a mio umile avviso ridicolo, non si è ancora capito bene se da altre persone, dall’intelligenza artificiale o da un mix delle due cose. Certo, articoli che paragonano Ilary Blasi a Virginia Woolf (come questo) lasciano sospettare (e sperare) che ci sia una qualche cuginastra scema di ChatGPT ad averli generati. In ogni caso, non esiste alcun comunicato ufficiale riguardo al cambio di guardia del sito (che per oltre 15 anni è stato solida realtà per appassionati di tv). Io ne ho dato notizia su MOW perché sono inopportuna e perché, soprattutto, ero e sono molto dispiaciuta per le persone che hanno perso il lavoro dalla sera alla mattina. Questo pezzo ha generato l’interesse di Dagospia e poi anche di ‘Striscia la Notizia’, qui grazie all’interesse dell’inviato Francesco Mazza che si sta occupando da tempo delle storture del giornalismo online (e non solo). Visto che gli ex collaboratori di TvBlog, per tanti motivi su cui non discuto, non hanno voluto intervenire, Mazza ha chiamato me e ho accettato di partecipare per dire la mia. Attirandomi, tanto per cambiare, più di una antipatia. Dunque, perché non mi sono fatta i cazzi miei?
Perché sono andata a Striscia a parlare di TvBlog e come mai non potevo farmi i cazzi miei
TvBlog è stato il primo sito che mi ha dato spazio per scrivere. Blogo in generale, visto che bazzicavo anche su GossipBlog, CineBlog e SoundsBlog. Una collaborazione durata circa sei anni e che si è chiusa malissimo, se non sbaglio nel 2016 (Alto Pleistocene, insomma). Si è chiusa malissimo per tanti motivi, tra i quali i compensi: non ero più una ragazzina, ormai vivevo in affitto a Milano e avevo delle necessità diverse. Per tutto il tempo della collaborazione, sono stata pagata cinque euro lordi a pezzo (10 per i live dei programmi tv di prima serata, ne seguivo sei a settimana). Cifre oggettivamente ridicole che ho accettato interpretandole come doverosa ‘gavetta’. Ero felicissima di fare questo lavoro: ogni giorno intervistavo personaggi che mai avrei pensato di incontrare, sono andata a Cannes, alla mostra del Cinema di Venezia, a Sanremo (cinque volte, credo di aver quasi sempre ‘anticipato’ di tasca mia alloggi e viaggi, mai compensati), perfino agli Mtv European Music Awards (dove ho intervistato Matthew Bellamy dei Muse e Lana Del Rey). Santocielo, per una che da liceale sognava di diventare vj di Mtv non poteva esserci nulla di meglio. C’era, però, anche il rovescio della medaglia: un tetto minimo di 200 articoli al mese, come detto, a 5-10 euro lordi l’uno. Pagati a 60 (o 90?) giorni. Nessuna possibilità di ‘crescita’ perché se non ti sta bene, sai quanti ne troviamo al posto tuo che scriverebbero per noi anche gratis? E poi pensi davvero che altrove ti darebbero di più? Vai pure, non troverai nient’altro.
Eccoci, la prima grande falla del ‘sistema’: il fatto che altrove possa essere - e spesso sia - lo stesso (se non peggio), non è una giustificazione ma parte del problema. Qui mi sto riferendo a un’esperienza di oltre dieci anni fa, ma oggi le cose, purtroppo, sono cambiate poco e niente. Non solo a TvBlog (dove i compensi erano riusciti, in certi casi, addirittura a SCENDERE rispetto ai miei gloriosi tempi), ma nella maggior parte della realtà online. I collaboratori, specie quelli esterni, non vengono considerati lavoratori, nemmeno persone, ma macchine sputa-post. Con buona pace, tra le altre cose, della loro salute mentale.
Ero in burn-out quando ho chiuso la mia collaborazione con Blogo? Ovvio! Duecento articoli al mese significa una media di sei al giorno, facevo le notti a seguire programmi tv e alla mezza mi ero presa il compito di andare a controllare i siti americani - da TMZ in giù - per vedere se fosse capitato qualcosa di rilevante oltreoceano: divorzi vip a sorpresa, morti famosi, scazzi tra star hollywoodiane ecc. Vedevo il mio fidanzato dell’epoca, un sant’uomo, al massimo per un aperitivo, ma veloce che dovevo lavorare. Le notti che passavamo insieme, eravamo sempre io, lui e il computer. Senza grosse sorprese, dopo quattro anni di ‘sta vita, m’ha mollato (e ha fatto bene). Per congiunture avverse del destino cinico e baro, proprio in quel periodo, ho perso anche la collaborazione con Blogo e mi sono ritrovata, da un giorno con l’altro, a non avere più niente da fare. Il mio lavoro, le tantissime interviste video in particolare, erano state cancellate ‘per un cambio di piattaforma’. Non ce n’era più traccia, tutto il mio impegno sparito, potrebbe non essere mai successo, potresti essere qui a leggere i deliri di una mitomane che millanta cose. Non ho prove concrete, solo ricordi di ciò che avevo fatto in sei anni. E di cui non ricordava già più nessuno, a parte me. Comprenderete, forse, il rifiuto totale che ho avuto nei confronti della sola idea di riprendere a fare questo ‘lavoro’. Ciò significa che io serbi rancore per Blogo? Ma chissenefrega, sono passati dieci anni e non mi pare che oggi io sia qui a fare la lavavetri al semaforo, con tutto il rispetto per la professione (tra l’altro, in molti casi più redditizia).
A prescindere dalla mia esperienza personale, il giornalismo online è tuttora e troppo spesso una catena di montaggio implacabile che si fonda su compensi indegni. Come da sempre. Mi è capitato, da altre parti, di non essere pagata mai o di essere stata ‘pagata’ un centesimo a parola per scrivere 20 ‘articoli’ entro mezzogiorno, ogni giorno. Il ‘caporedattore’ mi inviava su Skype tot titoli in chiave SEO già pronti alle 9 e mezza del mattino, io dovevo solo sfornare (e impaginare e ripetere ossessivamente le keyword uccidendo qualsiasi slancio di scrittura ‘creativa). Ora, avete presente tutti i bei discorsi sulla ‘verifica delle fonti’ che i ‘giornalisti’ sono sempre troppo pigri per andare a fare? Ecco, la maggior parte delle ‘bufale’ o delle ‘fake news’ che diventano virali nascono a queste condizioni: qualcuno si sveglia, vede una roba che per tanti motivi potrebbe essere ‘in trend’ (perché parla di ‘inclusione’, ‘diritti’, ‘femminismo’, ‘ascelle non depilate’, ‘malattie invisibili’ ecc ecc) e dà mandato a chi gli sta sotto di scriverne, non importa se sia vera o no, comunque prima di subito ‘altrimenti Google ci penalizza’ (a pubblicare per primi, si fanno più views). Questo è tutto ciò che ho da dire su come nasce, troppo spesso, ‘l’informazione' online. Sappiamo di scrivere puttanate e anche di scriverle male, ma in molti casi non esistono alternative. “È sempre stato così”. Sì. E infatti è sempre stato sbagliato, ribadisco. Dunque, appena s’è presentata l’occasione di parlarne su Canale 5, ho accettato di farlo. Sono andata a ‘Striscia’ a dire queste cose perché queste cose sono tra i motivi per cui, anni fa, appunto nel 2016, avevo deciso che non avrei mai più scritto: è solo uno sfruttamento continuo, non ne vale la pena, sacrifichi la tua vita per niente, se ti pagano, ti pagano malissimo e già devi considerarlo un miracolo, quasi ringraziare per quell’elemosina. Impossibile campare così, meglio trovarsi altro.
Dopo la pandemia ho ripreso a scrivere e mi è andata, non da subito, meglio. Ora, senza dubbio, non sono certo ricca (rido al solo pensiero) ma mi va meglio. Non per questo, posso fingere di ignorare la situazione disastrosa in cui versano troppi redattori esterni dell’online (ma pure dei cartacei). Perché l’ho vissuta sulla mia pelle, perché so quanto faccia male, perché, per farla breve, non è giusto così. Anche se è sempre stato così. Non lo è per i diritti (ma quali?!) di chi lavora e nemmeno nei confronti dei lettori. Non è giusto anche perché, in questo modo, il giornalismo diventa un lavoro elitario, da nati ricchi che non sanno bene come impiegare il tempo e allora si tolgono lo sfizio di buttar giù qualche riga per riempirsi le giornate. E si vede, si legge fin troppo spesso quanto molte firme non abbiano idea concreta di quanto possa costare un litro di latte all’Esselunga. Non è un bene. Dovrebbe scrivere chi ne è capace, chi ha davvero qualcosa da dire, non solo chi se lo può permettere grazie a mamma e papà.
Cosa deve cambiare nel ‘sistema’ del giornalismo online e perché è necessario essere ‘piantagrane’
Quello che vi sto raccontando non è solo frutto di una serie di esperienze personali andate ‘storte’, ma purtroppo la norma. Ho creduto anche io per molto tempo di essere ‘sbagliata’ perché a una certa non riuscivo più ad accettare determinate condizioni, a differenza di molti altri. Invece, erano le suddette condizioni a essere sbagliate, non io. Ci sono felici eccezioni, per carità, e oggi ho il lusso di viverle. A MOW, per esempio, c’è sempre stata l’idea di valorizzare, anche economicamente, i collaboratori. Oltre a una sconfinata libertà di pubblicare il proprio pensiero, senza ingerenze, sticazzi della SEO che se un pezzo è buono, va in giro comunque. MOW è un’oasi di pace e ho la fortuna di scriverci. Ma il punto è che non dovrei sentirmi ‘fortunata’. Eppure, altrove le condizioni sono molto diverse. Esistono ‘periodi di prova’ in cui scrivi (tanto e gratis) per un mese o due ‘poi vediamo’. Cosa succede allo scadere di quel paio di mesi? Un bel calcio in culo e avanti il prossimo da sfruttare alla stessa maniera. C’è anche questa meravigliosa prassi di prendere gente che ambisce al tesserino da giornalista. Per ottenerlo, una persona deve dimostrare al sacro Ordine di aver scritto continuativamente nell’arco di due anni (il periodo dipende da regione a regione) una data quantità di pezzi, compensati. Che cosa accade qui? Che troppo spesso il sito ‘finge’ di pagarti. In modo che tu possa portare all’Ordine le ‘prove’ di una retribuzione che in realtà non hai mai percepito perché quei soldi, immaginatevi pure le cifre, li devi restituire. Questo l’accordo. Accordo che accetti perché? Perché vuoi quel cazzo di tesserino, perché pensi che una volta ottenuto avrai delle tutele maggiori (mentre ti vengono comunque a dire che non ti conviene: quando ce l’avrai, nessuno ti prenderà più, tipo lettera scarlatta, appunto perché dovrà pagarti ‘davvero’ senza poter far pippa). Trovo francamente impossibile che l’Ordine sia all’oscuro di questa simpatica prassi che esisteva già quando cominciavo a lavorare io, quindi oltre dieci anni fa, e che sussiste tuttora, indisturbata. Come trovo orrendo che sempre lo stesso Ordine accetti di vedere ‘compensi’ di qualche manciata di centesimi a pezzo. Secondo l’Ordine la gente come campa?
Quello che vorrei potesse cambiare è tutto. Mi ha scritto di recente su X una ‘piccola editrice’ per far valere le sue ragioni: il suo sito è minuscolo, non è facile portarlo avanti, i suoi collaboratori capiscono che non vuole sfruttarli, anche se li paga poco e non sempre, la sostengono. Ora, in quale altro lavoro tocca ‘capire’ che sia giusto non ricevere un compenso? Immaginate che vi venga l’idraulico in casa per ripararvi qualche cosa e di potergli dire, alla fine, ‘Sai, la vita è difficile. Non ti pago perché non ho soldi, capiscimi”. Quello vi sputa in faccia. E fa bene. Un freelance, invece, deve ‘capire’. Perché?
In generale, se non ci sono abbastanza fondi per tirare avanti un’attività, purtroppo, la chiudi. Non puoi pensare che sia logico e accettabile continuare, mal pagando i collaboratori, perché tanto loro ‘capiscono che non è facile’. Non è facile per nessuno, in nessun campo. Ma qui il problema sta a monte: chi decide di aprire un sito, una testata, in genere si sente libero di non inserire nemmeno la voce ‘compensi collaboratori’ tra le spese futuribili. Quella si può saltare a piè pari, si può fare senza. Ma allora, soprattutto oggi, fai come tutti i cristiani da Selvaggia Lucarelli alla misera sottoscritta e apriti Substack per i cazzi tuoi, senza coinvolgere terzi sciagurati nella tua mitomania d’essere ‘imprenditrice digitale’.
La stortura del pagamento a croccantini possi è forse talmente connaturata nel sistema del giornalismo online che nemmeno chi ci lavora se ne lamenta. Torniamo al mantra: è sempre stato così, cosa ci possiamo fare? Incazzarci, per esempio. Ma no, non incazzarci non si può perché, altrimenti, si rischia di perdere pure quel poco, quei 2-3 euro a pezzo che fa vergogna prendere, che non sta bene dire in giro perché è imbarazzante, che figura ci fai. Ma che intanto accetti, tanto è così per tutti. Come in preda a una singolarissima e tafazziana Sindrome di Stoccolma, lo sfruttato da una parte sa di esserlo, dall’altra trova che sia normale. Da qui, lo stallo. Nulla cambia anche perché chi subisce queste condizioni, per tantissime ragioni, le ha interiorizzate e s’accontenta, scherzandoci sopra con gli amici. “Oh, ma ci credi? Stavolta mi hanno pagato!”, “Ho iniziato questa nuova collaborazione, dicono che mi danno 10 euro a pezzo, speriamo bene!”, “Sai che mi hanno proposto cinquanta centesimi a post? Ci sto pensando su…”. Troppe volte, negli anni, ho sentito discorsi del genere e vogliamo ancora fare finta che il problema non esista, va bene, come vi pare. Ma a me NON pare che sia tutto ok.
Personalmente, sono stanca di dover dire a chi mi chiede ‘come iniziare a fare il tuo lavoro’ di lasciar perdere, di darsi piuttosto allo spaccio. Anche perché bisognerebbe davvero capire se questi soldi per i compensi non ci siano 'davvero’. Tutti i siti sono imballati di banner pubblicitari tanto da rendere spesso difficile la lettura degli articoli. Le pubblicità sono, sostanzialmente, soldi che entrano. E allora dove vanno a finire, poi? Di certo non nelle tasche di chi scrive (e che, tra l’altro, rende possibile l’interesse degli inserzionisti). Si ritorna sempre allo stesso punto: quasi nessuno ritiene che i collaboratori debbano essere pagati. Per assurdo, nemmeno gli stessi collaboratori per via della sindrome di Stoccolma di cui sopra. Al netto delle eccezioni, questa è la regola. Una regola che non riguarda solo i ‘giovani che devono fare gavetta’: puoi avere pure 20 anni di esperienza, ma ti ritroverai davanti sempre e comunque alle medesime proposte ‘lavorative’ da elemosina. Accettandole, entri a far parte di una guerra fra poveri il cui minimo comun denominatore è l’omertà assoluta. Si guadagna un cazzo, ma non si dice. Altrimenti poi il direttore (ma ‘direttore’ de che?!) magari ti manda via, i piantagrane non sono mai graditi. Eppure, servono. Sono sempre serviti per cambiare ciò che non funzionava a qualsiasi livello della nostra società. E servono tuttora per tantissime questioni.
Tra le tante, vorrei anzi voglio, che si parli anche di questa, prima o dopo. Che si cerchi il modo di fare rete, di ribellarsi tutti insieme, di ritrovare le energie per incazzarci e sovvertire ‘sta merda di status quo. Un’idea completamente utopistica, ora come ora, you may say I’m a dreamer e potrei pure essere the only one, ma nemmeno il fatto di essere l’unica potrebbe darmi torto. Coltiva il malcontento, pianta grane. Il rispetto che ti viene richiesto, più o meno esplicitamente, è proprio quello che non ti danno. Insieme ai soldi. Sono stata la prima ad accettare questo schifo, non posso né voglio dirmi migliore di nessuno, ancora oggi ho collaborazioni, senza firma, di cui mi vergogno ma tocca campare. Conosco persone che scrivono su siti importantissimi e che stanno aspettando di essere pagate da sei mesi. Sei mesi. Mentre continuano a lavorare per paura di non vederli mai più, quei soldi. Non può essere questo l’unico modo. Oppure, se lo è, ben vengano l’intelligenza artificiale, Ilary Blasi e Virginia Woolf. Ben venga che il giornalismo online imploda, che crolli su se stesso, rivelandosi per la barzelletta che troppo spesso è (sempre stato). Mi conviene parlare di tutte queste cose? No. Ma se oggi ho tanto così di voce ‘in più’ di altri, la devo usare anche per raccontare la cruda realtà, senza balle. Ho già fatto la cameriera, la segretaria, l’ufficio stampa, la disoccupata creativa, la disoccupata disperata. Ho già mandato giù, in generale, così tanta merda che non ho davvero più paura di niente. E finché avrò le dita, non smetterò di essere inopportuna ogni volta in cui lo riterrò necessario. Prego, non c’è di che.
Tematica che non può passare inosservata,trovo sia ammirevole il tuo solerte impegno, ammiro te come persona nonché come, audace professionista.
"Bien joué"🖤