Forse 'The Substance' non è solo ciò che sembra
Voglio scrivere di questo film, anche se fuori tempo massimo. Perché ho una teoria che mi affascina: e se non parlasse solo di ciò che sembra? Leggi questo post soltanto se sei già andatæ al cinema
‘The Substance’ è il film (horror e non solo) dell’anno. Non starò qui a elencare i roboanti numeri di questo successo, a elogiare il capolavoro che è, a scrivere quanto sia bona Demi Moore, 62 anni. Girato da Coralie Fargeat, il lungometraggio è stato recepito come una forma di critica grottesca alla nostra società che concepisce le donne alla stregua di barattoli yogurt con la data di scadenza in fronte, al culto della perfezione fisica, al ricorso scriteriato alla chirurgia estetica. Se è vero che tutto questo c’è e scalpita forte e chiaro di scena in scena, personalmente sono stata colpita da un altro aspetto, forse più nascosto, ma nascosto in piena vista. Per me ‘The Substance’ è soprattutto una enorme metafora della dipendenza. E della dipendenza da droga, droga pesante, come può essere, per esempio, l’eroina.
Partiamo dal titolo: la sostanza. Nel corso del film, non se ne sa di più: cosa contiene? Mistero. Nonostante la stessa protagonista, Elisabeth Sparkle, non sappia nulla di ciò che sta per iniettarsi, procede. La sostanza promette di tirar fuori ‘una versione migliore di te. Più bella, più giovane, più perfetta’. E tanto le basta. Cosa succede, poi, nei fatti? Nella realtà?
Elisabeth si ritrova, teoricamente per sette giorni, rinchiusa al buio in uno stanzino, priva di sensi. Mentre il suo ‘doppio’ Sue ‘vive’ una vita tutta fama e lustrini, con l’affetto e la venerazione di chiunque. Il gioco varrebbe la candela se la protagonista provasse per davvero queste emozioni. Invece, non è così, non gliene viene in tasca niente. Marcisce nell’oscurità, mentre un’altra prolifera al suo posto. Sue potrebbe essere una sorta di sogno allucinatorio di Elisabeth? Perché no? La ragazza, l’attrice Margaret Qualley, non esiste veramente. Non ha documenti d’identità, solo una piccola storia orale riguardo alle proprie origini che racconta al produttore televisivo. Lui la assume subito, in barba alla lunghissima burocrazia che esiste anche soltanto per fare da pubblico in un programma tv. Figuriamoci per esserne protagonista e guadagnare bei dobloni di cachet.
Si parla molto delle scene ‘eccessivamente’ body horror della pellicola, ma quelle davvero impressionanti, perché realistiche e non grottesche, sono sempre legati agli aghi. Gli aghi con cui le (oramai) due si iniettano ‘la sostanza’, il buco sempre più purulento da cui la estraggono. Prendendo in esame quei frame e quei frame soltanto, si potrebbero benissimo inserire in ‘Requiem for a dream’, uno dei capolavori più crudi di Darren Aronofsky.
Elisabeth Sparkle non è ossessionata dalla bellezza, lei, Demi Moore, è già bella. Solo che, al compimento dei 50 anni, perde il lavoro a causa della società cattiva e maligna che la considera passata, scaduta. E quindi lei, disperata e senza impiego dalla sera alla mattina, seguendo l’eco di un losco passaparola, corre ai ripari con ‘la sostanza’. Sostanza che va a recuperare non certo in un ospedale o in una clinica, come accadrebbe con la chirurgia. Ma in modalità misteriose assai, tramite telefonate anonime che la portano in un oscuro seminterrato di periferia, dove troverà, appunto, ‘la sostanza’. Ci sono strette modalità d’assunzione, le viene detto e ripetuto immediatamente. Riassumendo, per non provocare danni, ‘la sostanza’ deve essere presa una volta a settimana. Non di più. Andrà così? Ovviamente, no.
A causa di tali infrazioni, su cui Elisabeth oramai non ha più potere, il suo corpo, l’unico che ha veramente, comincia a marcire. All’inizio, un dito della mano le va in cancrena, imputridisce come fosse quello di una strega. La donna chiama chi, chiunque sia, le ha fornito ‘la sostanza’ per lamentarsene. Viene avvisata che i danni subiti non potranno essere risanati, ma che detiene comunque la possibilità di interrompere l’assunzione quando vuole. Lo fa? No. Anche se continua a non venirle in tasca niente da questo ‘scambio’, la donna preferisce marcire in uno stanzino buio, rinunciando di fatto alla sua stessa vita, pur di continuare a iniettarsi ‘la sostanza’. “Ha già iniziato a divorarti dall’interno?”, le domanda l’orrendamente anziano avventore di un bar, anche lui fruitore dello stesso, magico trucchetto.
Intanto, anche la splendida casa di Elisabeth si abbruttisce, diventando né più né meno l’appartamento di una tossicodipendente: c’è roba ovunque, copre le finestre di vecchi giornali in uno stato di continua e crescente paranoia, cucina cose che poi lascia sui fornelli, le sue azioni non hanno più alcun senso logico, mentre il suo corpo continua ad accumulare deformazioni di cui viene a conoscenza soltanto nei giorni di ‘veglia’. Non cammina più, perde i capelli, la pelle è piena di nodi, tumefazioni, rughe, enormi pustole marcescenti. Si ferma? No. Anche se, ancora, potrebbe farlo in qualsiasi momento e, lo ribadiamo, non le viene in tasca niente, se non disperazione e danni fisici, dall’assunzione della ‘sostanza’.
Nel finale, anche la sua proiezione, di nome Sue, diventa dipendente dalla ‘sostanza’ perché senza quella cade, letteralmente, in pezzi. Sia da un punto di vista umorale che fisico. Non ci sono medici in ‘The Substance’, tutto avviene nella più completa solitudine delle quattro mura di casa. Una storia che, ovvio, non può andare a finire bene. E che, infatti, termina con la morte. Una morte molto pirotecnica, grottesca, allucinata, come se fossimo dentro a un romanzo di Chuck Palahniuk. Di quelli belli, però. Di quelli belli perché estremi, shockanti.
‘The Substance’ è un bellissimo film sulla dipendenza dove il mito della perfezione fisica è un - più che valido - pretesto per raccontare anche altro. Gli aghi, il pus, il corpo che marcisce progressivamente e la testa che non riesce più a fare a meno di qualcosa che niente ti dà, non davvero, mentre ti distrugge fino all’annichilimento totale. ‘The Substance’ è un film totale. Per quanto originalissimo, forse davvero più ‘debitore’ a ‘Requiem for a Dream’ che a ‘La Morte di Fa Bella’. Comunque, un capolavoro. Anche perché ricorda: “Tu sei soltanto uno”.
Ho visto il film, mi è piaciuta tantissimo la tua interpretazione che e sicuramente una delle più evidenti anche se la meno usata da stampa e critica che ha preferito attualizzare sul body shaming e sul diverso trattamento riservato alle donne rispetto agli uomini. Quello che avvalora la tua enfasi sulla dipendenza è proprio quel personaggio maschile che, inizialmente conosciamo come un giovane avvenente infermiere. Perché questa è la prova che The substance miete vittime anche fra le donne. Per me la parte più godibile del film sono state le innumerevoli citazioni a tanti film e miti, tra cui Cronenberg, Kubrick, Il mostro di Frankenstein, The Blob…
Penso che in realtà sia tutto un sogno allucinatorio di Elisabeth Sparkle dopo l'incidente d'auto. La Sostanza del film e tutto ciò che c'è dopo può essere visto come un effetto di coma di Elisabeth . Un suo desiderio inconscio . Ecco perché ' Sue ' NOON ha documenti d'identità , né codice fiscale , né tessera sanitaria , né conto corrente . Infatti, questa fanciulla come verrebbe pagata ? In effetti, non vediamo neanche un'interazione con le ballerine dopo i due show .
In aggiunta , quando ' Sue ' , dopo che Harvey le annuncia che avrebbe condotto il programma di Capodanno , comincia a succhiare liquido spinale molto più rispetto della settimana - per mantenere un status elevato - , NOON viene mostrato in ALCUN MODO come vive la sua vita : cosa sta facendo, quando partecipa a feste, quando incontra ragazzi - .
Il tutto è TROPPO concentrato su ' la sostanza ' - di cui il film NOON fa scoprire minimamente come si chiami il fornitore , da cosa sia composta , se sia in via sperimentale , come faccia a ' ringiovanire ' le cellule , perché non venga usata pubblicamente , se lo Stato possa essere disponibile a fare carte d'identità anche per i cloni e i documenti ecc. - ,
e senza nemmeno spiegare quando Sue incontra il fidanzato che vediamo nella parte finale , cosa ne è stato di Troy , se davvero sia lui Troy o sia invece l'alter ego accedente e fresco di Fred , l' ex compagno di classe di Elisabeth stessa .
Troppe domande senza risposta e che possono dare alla luce che Elisabeth dopo l'incidente d'auto è andata in coma e tutto ciò che vediamo è solo un suo sogno : solo così si può spiegare .
La regista ha intenzionalmente dato quel finale da body horror ma , a parte l' introspezione psicologica , cognitiva , psichica , relazionale , pensante di Elisabeth Sparkle - la VERA protagonista del film - , il film manca di molti punti che avrebbero potuto essere visti .
Il fatto che Coralie Farget - la regista francese - non abbia voluto compensare tante domande neanche con un prequel - cioè COME è stata fatta la sostanza , chi l'abbai prodotta, perché e con quali mezzi , se esistano altri che hanno già iniziato ad usarla - , significa che Coralie NOON aveva in mente altro .
Quando avrò tempo , io riscrivo tutta la trama con domande a cui DARO' risposte man mano .